Nel corso dei secoli, è stata, ed è ancora viva nella Chiesa, la memoria di Santa Cristina, Vergine e Martire di Bolsena.

La Sua immagine appare anche nei mosaici del VI secolo in Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, tra le Vergini Martiri occidentali.

Alla storica certezza del Suo Martirio, avvenuto il 24 luglio, come attesta già il più antico calendario della Chiesa romana, purtroppo non fanno riscontro altrettante certe notizie sull’anno della Sua morte che si ritiene sia avvenuta nell’ultima persecuzione di Diocleziano, agli inizi del secolo IV.

Ogni anno, da molti secoli, Bolsena ricorda il giorno del martirio della sua Patrona con solenni celebrazioni liturgiche e folkloristiche.

Nei secoli XV e XVI i festeggiamenti in onore di S. Cristina avevano una durata di circa quindici giorni. La festa si mantenne tale fino al XVIII secolo, quando si ha notizia di due feste, in onore della Santa: una il 10 di maggio, ricorrenza della dedicazione della Basilica, e l’altra il 24 luglio.

Quella di luglio era caratterizzata — come oggi — dalla rappresentazione dei Misteri della Santa. Ogni anno, il 23 e il 24 luglio le gesta della martire rivivono attraverso un’antichissima azione scenica, vera reliquia vivente del dramma sacro popolarmente chiamata “Misteri”.

La sera del 23 luglio la statua della martire viene, in processione, traslata dalla Basilica a lei dedicata alla chiesa del Ss.mo Salvatore. Lungo il percorso, nelle cinque piazze del centro storico, vengono rappresentati, su palchi, altrettanti episodi, in forma muta e immobile, del martirio di Cristina; così come il mattino del 24, quando la processione fa ritorno in Basilica.

La gente del luogo, in particolare i giovani, partecipa con entusiasmo e calore alla realizzazione dei dieci quadri viventi, orgogliosi dei propri ruoli e consapevoli di far vivere una tradizione risalente al XVI secolo

Il significato dei «Misteri» consiste, ancora oggi, nella drammatizzazione del sentimento popolare di fronte agli episodi misteriosi e miracolosi (Mistero) della vita della Santa.

<< Cristina era la figlia dodicenne di Urbano, prefetto del municipio romano di Volsinii, allora città opulenta e popolosa, e di una nobildonna di casato romano appartenente alla Gens Anicia.

Cristina fu iniziata alla religione cristiana da un’amica e fedele ancella di palazzo.

Urbano cercò in tutti i modi di allontanare la fanciulla dalla sua fede, ma nulla riuscì a scalfire minimamente la volontà di questa.

La fece chiudere in un’ala del palazzo gentilizio insieme a dodici ancelle, e la circondò di agi e di lusso. Cristina, però distribuì ai poveri le sue ricche vesti e i metalli preziosi ricavati dagli idoli da Lei infranti.

Il padre, a questa notizia, la interrogò a lungo, non più come padre, ma come rappresentante del potere dell’impero romano e condannò Cristina ad essere denudata delle sue vesti e pubblicamente flagellata dopo averle fatto recidere i suoi biondi capelli, ma i carnefici dopo lunghe ore di battiture, stremati dalla divina resistenza della fanciulla, caddero a terra esanimi.

Urbano, allora, ordinò che la fanciulla venisse condotta in carcere, ma nemmeno le lacrime materne riuscirono a smuovere Cristina. Il padre, disperato, fece trasportare la fanciulla su di una barca fino al centro del lago, dove con una grossa pietra al collo, venne gettata tra i flutti. Miracolosamente Cristina galleggiò sulle acque come un fiore di ninfea, usando per barca lo stesso strumento di martirio. Ritornata a riva, si presentò spontaneamente al tribunale del padre che nel rivederla per il dolore e per la rabbia morì. Allora i demoni sorsero dalle viscere della terra per trascinare il folle Urbano all’Inferno. (il “Mistero” raffigurante questo episodio dei demoni è l’unico in movimento ed è l’ultimo della sera del 23 luglio, nel quartiere Castello in Piazza Monaldeschi)

Dione, successore nella carica di prefetto, non fu meno severo nei confronti della fanciulla.

Ordinò che venisse immersa in una caldaia di olio e pece bollente dove Cristina entrò come se fosse in un bagno di fresca rugiada. Visto inutile questo tormento, Dione la fece legare ad una grande ruota metallica, che al suo girare avrebbe slogato le esili membra della Santa; al primo girare di ruota, questa, per intervento di un Angelo, si spezzò uccidendo i carnefici. Il prefetto, stupefatto per gli avvenimenti e furibondo per la sua impotenza verso la fanciulla, fece condurre Cristina al tempio di Apollo per obbligarla a bruciare l’incenso alla divinità, ma alle sue ferventi preghiere la statua del Dio scese dal piedistallo infrangendosi al suolo e uccidendo con una scheggia lo scellerato Dione. A tale vista, si convertirono alla fede di Cristina parecchie migliaia di pagani.

Successe a Dione il prefetto Giuliano, uomo rude e accanito persecutore dei Cristiani. Fatta trascinare la fanciulla davanti al suo tribunale, la condannò ad essere uccisa dal morso di serpi velenose che, alle preghiere della Santa divennero mansuete come agnelli e asciugarono con le loro lingue le lacrime della fanciulla. Giuliano, esausto, la fece murare in una fornace per mattoni dove Cristina rimase per cinque giorni e cinque notti. Quando ormai si pensava di trovare solo cenere, aperta la fornace, con stupore e meraviglia, il prefetto vide la fanciulla in devota conversazione con un gruppo di angeli che per tutto il tempo, con il loro sbatter d’ali, avevano tenuto lontano il fuoco dal suo corpo verginale. Ancora oggi la tradizione indica in alcuni ruderi sulla via Cassia, circa a due Km. dall’abitato i resti della fornace dove la Santa subì questo martirio.

Disperato per l’ennesima sconfitta, Giuliano trascinò la fanciulla per le vie della città fino all’anfiteatro, dove, dopo averle fatto recidere le mammelle e la lingua, legata ad un palo fu fatta bersaglio da un nugolo di frecce.

Così Cristina passò dalla terra al cielo a contemplare il volto di quel Cristo che tanto aveva amato>>

Questa tradizione, di rappresentare i Martiri della santa, continua ancora oggi nella nostra cittadina, profondamente radicata nell’animo popolare. Ogni 23 e 24 di Luglio è sempre una fiumana di gente che accorre sulle piazze della nostra città a rimirare estasiata gli episodi della leggendaria tradizione in una atmosfera di luci e scenografie, di diavoli caliginosi, suono di campane e vociare del popolo

Con questa semplice quanto spettacolare forma d’arte, unica nel suo genere, i bolsenesi in fondo esprimono nient’altro che l’amore secolare verso la loro Santa Patrona.

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